Intervista a Massimo Bursi (part 1/3)

Intervista a Massimo Bursi (part 1/3)

Massimo & Chiara sorridenti alla partenza di un bike-tour Costa Azzurra, Provenza, Occitania!

Massimo Bursi è il segretario di APS Arrampicata Verona.

In realtà è molte altre cose… fondista, cicloturista, skyrollista (si dice?), alpinista…

Insignito del “Premio Biasin” (senza merito a sentir lui) dopo un quarto di secolo di vita (25 anni, direbbe lui da buon ingegnere), è manager sul lavoro e manager in famiglia, perché gestire i 4 figli che oggi sono in giro per il mondo… è affar difficile anche per una coppia ben affiatata. Massimo è così, di nome e di fatto. Le cose cerca di farle bene, al massimo appunto, sempre asintotico al limite, suo e della sua compagna di vita che spesso viene svegliata nel cuore della notte dalle urla di Massimo che nel suo letto viaggia a occhi chiusi…  immaginando montagne, vie, situazioni e incontri…

Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione“, scriveva Céline, “basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita“… della vita da manager, aggiungo io!

Parlando di lui il rischio di perdersi e divagare è molto forte, torno quindi ai giorni nostri, al “Bursi” odierno, allo scrittore in erba che ha tagliato il nastro dei 59 anni. A dirla tutta, un’erba già abbastanza alta visto che vanta almeno una pubblicazione – Flash d’alpinismo, citazioni, impressioni, immagini. Edito da Streetlib nel 2017 – e molti interventi pubblicati su vari spazi web, tra i quali www.gognablog.it.

A sua firma uscirà a giorni (l’11 ottobre 2022), per conto dei tipi del Corriere della sera, un intero volumetto della ponderosa Storia dell’alpinismo. Progetto voluto e guidato da Alessandro Gogna che ha affidato a Massimo un capitolo importante: quello che riguarda gli eventi che hanno visto le Alpi come palcoscenico nell’intervallo di tempo che va dal 1921 al 1967.

Ci diamo quindi appuntamento per parlare delle nostre iniziative legate ad APS ma lui è ignaro che io voglio sapere come e perché è finito in questo grande disegno editoriale.

«Allora, Massimo, come sei finito in questo progetto?»

«Alessandro Gogna mi ha contattato durante le vacanze di Natale 2021 e mi ha detto: “se firmi il contratto devi darmi entro 10 giorni la scaletta e la copia draft entro fine marzo”».

«che dire… Tempi stretti, ma lui sapeva che eri già “sul pezzo”?»

«Eh, sì, lui sapeva della mia passione per la storia della montagna… mi ha detto che aveva tre argomenti ancora da assegnare ad un autore, di cui uno sull’Himalaya, che non mi interessava. Io mi sono concentrato sul capitolo che più mi intrigava. I tempi stretti sono legati al fatto che sotto a tutto il progetto editoriale c’è Il concetto di “instant book”».

«Questo è il tuo secondo libro, decisamente più sistematico del primo – Flash d’alpinismo. Nel tuo primo libro c’è una raccolta di racconti nei quali metti a fuoco svariati personaggi senza preoccuparti troppo dell’aspetto cronologico. In questo tuo secondo volume ti sei servito del filo d’Arianna offerto dal tempo che passa e dal nostro modo di misurarlo: giorni, mesi e anni… Allora, parto da un cliché, anzi, da due, e ti chiedo: “la storia lo scrivono i vincitori”, oppure, “la storia la fanno gli idioti”. Personalmente mi piace pensare a “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, e cito Francesco De Gregori. Il progetto del Corriere sembra andare in questa direzione servendosi di una coralità di voci narranti. Ecco Massimo, raccontaci in breve se c’è un tratto comune che unisce questi “vincitori” e questi “idioti” che dal 21 al 67 hanno percorso le Alpi».

«Io sono un amante di De Gregori… l’avrò visto almeno dieci volte “live”. Secondo me, stando sull’alpinismo, la storia la scrivono i vincitori. La scrive chi comunica. Ti faccio due esempi: il primo sesto grado delle Alpi è per tutti la Solleder nel 1925. Su tutte le “storie dell’alpinismo” viene sempre riportata la Solleder sul Civetta del 1925. Peccato che 15 anni prima due tizi tedeschi, Haupt e Lompel, nel 1910 hanno aperto una via da loro gradata quinto grado. Non è stata ripetuta per tanti anni. Ma perché l’hanno gradata quinto grado? Loro hanno detto che era difficile. I chiodi piantati in parete solo due o tre, mentre il sesto grado (al tempo il “limite” estremo)  avrebbe dovuto averne molti di più. Nel 1985 un certo Masucci è andato a ripetere la via. Scoprirà che era molto più difficile e pericolosa della Solleder… e con meno chiodi. Per essere sicuro, visto che era in gioco la riscrittura della storia dell’alpinismo, è tornato sulla via una seconda volta, confermando le prime impressioni. Haupt era un tipo molto particolare, eccentrico, a volte andava a scalare nudo, senza scarpe di feltro e senza mutande ma con il sigaro, il cappello e la corda legata in vita. Non scriveva relazioni, era un po’ anarchico. Se ne fregava. È per questo motivo che nella “storia” è finito Solleder che, all’opposto, era un nome noto e scriveva relazioni su relazioni. Ed è passato lui come il primo sul VI grado. Ecco che “la storia” la fa chi comunica».

Massimo è un fiume, un Danubio di parole, un fiume lento e calmo dalla grande portata. Nel suo procedere “porta” un altro esempio che riguarda l’Agner, parete che ha toccato con mano. Prosegue dicendomi che:

«nel 1921, sull’Agner, hanno aperto una via di 1600 metri senza usare chiodi. Questa via è passata come un V grado. Messner, uno dei primi a ripeterla, la “gradò” ben più difficile del famoso vicino spigolo di Gilberti/Soravito, ed era stata aperta undici anni prima. Gli apritori? uno lavorava come maestro delle elementari a Canazei, l’altro era un militare che faceva ricognizioni per conto dell’esercito. Anche qui, il non aver usato chiodi e il non aver scritto niente ha fatto pensare a un V grado. E torno a Solleder, e qui capisci perché mi piace la storia dell’alpinismo… Solleder (una sorta di Manolo dei suoi tempi con molto tempo a disposizione per realizzare i suoi progetti) e un certo Lettembauer (che di lavoro era odontotecnico), si sono ritrovati dopo varie vicissitudini a fare cordata insieme. La famosa fessura friabile che caratterizza la “Solleder” al Civetta è stata salita grazie all’abilità di Lettembauer nell’usare i cunei di legno, lui che nel suo lavoro usava i cunei per i denti… Dove Solleder aveva fallito, Lettembauer sale imbottendo la fessura di cunei di legno (usati per la prima volta in montagna). Solleder è salito da secondo di cordata ma la via si chiama Solleder–Lettembauer. Io ho contattato il nipote di Lettembauer, il quale mi ha dato le lettere di suo nonno scritte in tedesco. Mi ha anche raccontato che suo nonno, negli ultimi anni della vita, era abbastanza amareggiato. Perché vedeva, Solleder, Solleder, Solleder ovunque… ma quella via l’aveva “tirata” lui e non si dava pace per come era finita nella “Storia”, quella “storia” scritta da Solleder».

Roda di Vael con Paolo Bursi e Matteo Pavana (scimmiottando Jim Bridwell)

«Bene, prendo atto che la storia l’hanno scritta i vincitori. Resta comunque vero che la storia “è fatta”, costruita, dagli idioti, dai fessi della vita che hanno rischiato la pelle e sono finiti nel dimenticatoio».

«Avrei altri esempi ma non ti voglio tediare. La storia la fa chi comunica. Pensa ai nostri anni 80, e parlo di Verona. Pensa al “Premio Biasin”. Io l’ho vinto e Nicola Sartori, che è infinitamente molto più bravo di me, ma molto molto più di me… lui, non ha l’ha vinto. Ma pensa anche a tutti gli altri che l’hanno vinto. Tornando a Nicola, perché non l’ha vinto? Perché era schivo, non ha mai mandato il suo curriculum alla commissione. Invece qualcun altro un po’ vanesio, io per primo, ha mandato il suo cazzo di curriculum e l’ha vinto. Doveva essere la commissione a cercare i meritevoli. Questo per dirti che dopo anni di distanza nessuno recupera più queste storie qui. Ci sono nel nostro ambiente “animali solitari”, ne ho in mente uno in particolare ma non posso citarlo… che fanno cose pazzesche. Non parlano e non si lasciano raccontare. Curriculum della Madonna che nessuno conosce e che rimane nei cassetti. La Storia dell’alpinismo mi piace perché mi permette di pescare nella storia minore, quella che rischia di andare persa. Alcune di queste, come quella di Nicola Sartori, possono ancora essere recuperate attraverso le notizie dell’epoca: le cronache del Rock Master, le ripetizioni  a-vista di 8a+ fatte a Ceuse e finite sui giornali, ma le altre storie, quelle “senza appigli”, rischiano di finire sul fondo».

«Ecco che il recuperare questi “relitti” dal fondale è un continuo riscrivere la storia. Una Storia dell’alpinismo che diventa dinamica? Per tanti versi è quello che ancora oggi accade in arrampicata sportiva. Prendiamo il primo 9a? Action directe o Hubble? O forse qualche via nascosta e poco “veicolata” da Huber? Le ripetizioni assestano il grado. Action directe vede molte più ripetizioni di Hubble. La via di Ben Moon non teme di essere “sgradata”, quella di Güllich si sussurra possa essere 8c+… e siamo sempre alle solite. Per la vulgata il primo 9a rimarrà Action Directe, anche nel caso fosse sgradata a 8c+, con buona pace di Ben Moon o di Huber. Cambierà mai questo modo di credere la “Storia” come una cosa scritta una volta e per sempre?».

«Ti dirò, anche se tutti i testi concordano sul primo VI, Alessandro Gogna ha avvallato e convalidato – come fosse un revisore/notaio – il mio recupero “scritto” della via di Haupt e Lompel del 1910. Un conto è la realtà, un conto è la vulgata. Compito dello storico, secondo me, non è tanto ripetere quello che è già stato scritto, ma andare a rumare, andare a parlare con le persone, coi testimoni e magari, se sei anche bravo, andare a ripetere, toccare con mano. Questa abbinata, il cercare testimonianze e l’andare sui tiri di corda, ti permette esperienze incredibili. Ti faccio un altro esempio che riguarda la Marmolada. Ero con Paolo, mio figlio, nella zona che ospita le vie più storiche, su Punta Penia. Finché salivo mi guardavo attorno e pensavo “lì c’è la via di  Micheluzzi, qui è passato Soldà, Messner è venuto su di qua ed è andato di lì. Insomma, io arrampicavo e contemporaneamente vivevo, i libri che avevo letto e le varie interviste che avevo fatto o letto, in modalità multidimensionale, un’esperienza pazzesca. Nel frattempo avevamo superato una cordata che si era incrodata. Eravamo su una via abbastanza facile del 1901, sicuramente la più facile che c’è lì, però, insomma non era proprio banale. Ecco che abbiamo visto la cordata che ci precedeva infilarsi su per una placca liscia. Uno che conosce la storia dell’alpinismo sa che nel 1901 non potevano andare su di lì. Andavano sulle fessure, sui diedri, in generale dove era più spaccato. Questo per dire che se conosci la storia è più facile orientarsi e non perdersi sulle pareti. Perché entri nella mentalità e nella possibilità dell’apritore. Il VI grado degli anni 30, quello di Cassin, Comici e Vinatzer, è sostanzialmente una bastonata dura rispetto al VI grado di Cesare Maestri. Perché lui, scalando con gli scarponi, passava dal V+ al A2. Sulle sue vie, dove danno VI grado non riesci mai a capire se era passato in arrampicata libera oppure se aveva tirato il chiodo. Il VI degli anni 60 è stra-schiodato e lo fai con le mani in tasca! Il sesto grado degli anni 30 con i chiodi a 15 metri uno dall’altro è un’altra storia. Allora, se uno sa la storia dell’alpinismo, sa come orientarsi e sa anche quello che gli aspetta. Cioè, se io vado a fare una via di Ivo Rabanser ­– una Guida della Val Gardena, mio coetaneo ­– degli anni 80, sai che è cattivissima, il suo V+ sai benissimo essere un 6a+ ed è schiodato per 15, 20 m, perché lui al tempo aveva un livello da fuori di testa. Per contro, se vai a fare una sua via degli anni 2000 la troverai chiodata giusta, con i gradi giusti. Però la gradazione è rimasta così. Quindi, conoscendo la storia, conoscendo i personaggi e la loro evoluzione, sai quello che ti aspetta. Questo, è per me un aspetto incredibile e molto interessante».

——> segue (part 2)

Intervista raccolta da Andrea Tosi


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