Intervista a Massimo Bursi (part 2/3)

Intervista a Massimo Bursi (part 2/3).

Marmolada Punta Penia
Massimo & Paolo: Marmolada, Punta Penia

«Quindi Massimo, se l’aspetto interessante del conoscere la storia è una specie di “preview” affidabile di quello che ti aspetta in parete, Il tuo “lavoro” di mettere su carta gli atti dei nostri precursori, dei nostri avi, mi sembra il tentativo di creare una sorta di continuità tra le generazioni. Le gesta di chi ci ha preceduto, raccontate dai vivi, in favore di chi verrà. Cosa ti spinge in questo lavoro di ricerca? Ti ispiri a qualche modello?»

«Se tu leggi la storia dell’alpinismo, e magari la vivi, la percorri, nel senso che poi hai la fortuna di poterla andare a toccare con la mano, capisci soprattutto che è un’evoluzione di persone. Quello che facciamo, quello che ha fatto Messner, ad esempio, se lui è arrivato fin dove è arrivato, è perché qualcuno prima di lui ha fatto dei percorsi, ha preparato la strada. Chi è arrivato dopo Messner ha fatto qualcos’altro partendo da Messner. E questo lo vediamo nella storia dell’alpinismo, ma anche nella storia nostra, quella minore, dell’arrampicata a Verona. Cioè, quello che avete fatto voi a Ceredo, lo avete fatto perché magari il “Beppo” (NdA Giuseppe Zanini), aveva “aperto” qualcosa prima. Il Beppo ha sfruttato l’esperienza di quelli che erano arrivati prima di lui a Stallavena, e dopo Stallavena ha sentito che serviva fare qualcosa di nuovo. Ecco che è andato con i “nani” a Ceraino. E poi siete arrivati voi, e voi vi siete detti: “andiamo a Ceredo”, perché qui ci sono gli strapiombi e possiamo superare il concetto di placca. A me piace pensare alla storia dell’alpinismo come una storia delle barriere psicologiche dell’uomo. Cioè, del superamento della barriera psicologica. Per questo ad un certo punto si è detto, “andiamo a Ceredo”. Perché ci sono degli strapiombi che non sappiamo nemmeno se si riescono a fare… È bastato il “forse” riusciamo a farli. Siamo passati da Stallavena, dove c’è un’arrampicata molto simile alle Dolomiti, per poi andare a Ceraino dove ci sono le placche lisce. Le placche lisce erano un tabù. Abbattiamo quindi questo muro… è sempre una barriera psicologica quella che abbattiamo. Messner è stato il primo ad andare sull’Everest senza ossigeno, dopo da lui hanno iniziato a provarci tutti. Prima sembrava impossibile. La storia delle barriere psicologiche che vengono superate è la storia dell’alpinismo. Oppure, e porto un’altra immagine per parlare di barriere psicologiche, pensiamo all’Eiger. Montagna impossibile, e va bene… Brutta! E’ una montagna con pareti di carbone, di roccia orrenda, che scarica, dove negli anni 30 non si riusciva a salire. E tutti dicevano che sulla nord dell’Eiger, se uno parte, non può più tornare indietro. Se non riesci ad andar su, muori. Questo perché c’erano state anche parecchie tragedie. Erano morti dieci, undici alpinisti nel giro di pochi anni. Nel 1937, un certo Mathias Rebitsch ha passato 100 ore in parete. Tentativi su tentativi… e poi è tornato giù in doppia. Dopo 100 ore, dopo quasi 5 giorni, è ritornato giù in doppia, vivo, lui e il suo compagno. Ecco, questa cosa qua è stata la molla per dire: “beh, allora si può tornare, allora posso andare, allora posso rischiare”. Nel 1938 sono riusciti a salire la parete nord dell’Eiger. Ecco, chi c’è riuscito, ha utilizzato la barriera psicologica superata da qualcun altro e si è servito di tutta l’esperienza e della conoscenza di chi è venuto prima. Dove c’era la lunga traversata Hinterstoisser, i primi salitori, hanno lasciato una corda fissa per potersi garantire la ritirata, memori dei tragici avvenimenti che poi hanno ispirato anche film hollywoodiani».

Massimo dilaga e non si ferma più, parla di analogie con l’evoluzione biologica. La storia dell’alpinismo, dal suo punto di vista, funziona allo stesso modo ma in tempi molto più concentrati: 150/200 anni. La storia dell’arrampicata sportiva accorcia ulteriormente i tempi e concentra tutto in 40 anni: piccole continue evoluzioni interrotti da “salti quantici” inattesi, ovvero, il contributo portato da chi ha stravolto le regole con exploit inimmaginabili. Mentre parla è evidente la continua lotta interiore tra lo scrittore storico e l’ingegnere. Da un lato l’aspetto romantico che cerca analogie di questo micro-mondo verticale con “il tutto”, dall’altro l’aspetto analitico che si rifugia nelle certezze geometriche: l’asintoto come concetto chiave della storia “verticale”.

«Mi piace pensare anche all’asintoto. Mi spiego meglio: l’uomo può arrampicarsi su un muro liscio? No, no, però può asintoticamente avvicinarsi. L’uomo può correre i cento metri in tre secondi? No, però può scendere sotto i dieci secondi, può arrivare a nove secondi… la storia dell’evoluzione vuoi vederla come asintotica al superamento dei limiti umani».

«Ti chiedo allora cosa c’è sull’asse che riusciamo solo ad avvicinare? Un Dio? Un salto di specie?»

«Non so Dio che forse ha cose più importanti a cui badare… ma sicuramente lì c’è un evento. Un salto quantico… una follia inimmaginabile. La rivoluzione! Hansjörg Auer che sale slegato il “Pesce” in Marmolada. Spingersi verso l’asintoto è giocare alla roulette russa…»

«Ed è forse lì che avviene il “salto”? Quando tutto diventa troppo rischioso e ti accorgi che hai premuto il grilletto troppe volte e, nonostante questo, la stai ancora raccontando… se capisci che è il momento di cambiare gioc,o solo allora , hai qualche chance di invecchiare. Diversamente, hai trovato l’asse cercato dalla curva asintotica…»

«Questi sono degli aspetti molto interessanti. Capire l’età in cui vengono fatte queste imprese al limite. C’è chi dice che dopo i 25 anni si ha un livello di maturità, di responsabilità, per cui la voglia di rischiare diminuisce. Il che vuol dire che uno può fare delle imprese, però, diciamo che si cautela. I tiri difficili sul Pesce li ha aperti il diciassettenne Šustr che adesso fa il santone Zen. Però è Igor Koller che è passato alla storia come l’apritore del Pesce. Vedi… se leggi, studi e capisci le storie dell’alpinismo, diventa tutto bellissimo… se riesci a metterci le mani. Il mio “povero alpinismo” mi permette di scegliere solo certe vie, che non sono magari le più belle del mondo, ma sono quelle che completano la mia sete di “storia”. Perché quando leggo delle salite in Wenden, mi resta sempre l’amaro in bocca. Perché so che non riuscirò mai a metterci le mani. Alcune vie le faccio solo perché mi interessano i personaggi protagonisti delle mie ricerche. Mi interessa entrare nella testa di questi uomini».

«Quest’anno non sei riuscito a trovare uno “slot” di tempo per andare in Civetta sulla PhilippFlamm. Hai qualche conto in sospeso con uno dei due?»

«Sì! mi interessa entrare nella testa di questo Walter Philipp. Forse perché dopo un volo mostruoso sulla Lavaredo, volo che si è fermato e 10 metri da terra, ha lasciato l’alpinismo, a soli ventidue anni, ed è andato negli Stati Uniti, ha fatto il professore di matematica. È morto nel 2006. Io, nel mio piccolo, ho scambiato alcune e-mail con lui. L’ho cercato e I‘ho trovato. Gli ho scritto: “ma tu sei quello che ha aperto in Civetta?”. Era lui e per qualche tempo ci siamo scambiati qualche e-mail».

«La cosa buffa è che sembra più facile far parlare questi “sconosciuti” piuttosto che quelli che ci girano attorno quotidianamente.»

«Bravo, è così! Pensa, gli ho chiesto: “ma ti sei reso conto che stavi aprendo qualcosa di importante?”. La risposta è stata un: “No, però tutto quello che avevo ripetuto in precedenza, era più semplice”. Anche lui però è stata una meteora abbagliante, a vent’anni ha fatto questa via, e poi, sostanzialmente, è scomparso. Ha preso paura, ha conosciuto la “strizza” ed ha cambiato “campo”.»

«C’è un’età maledetta nel rock. Si parla spesso del club dei 27. Che ci sia qualcosa di simile in alpinismo… qualcosa che a una certa età ti consiglia di “morire” rispetto a certi rischi?»

«Mah, Messner nella “sua” stagione, nel 68 aveva esattamente 25 anni, dopodiché è andato in Himalaya».

Da qualche parte nel sud della Francia

«Dici che ha cambiato campo perché si stava avvicinando a quel limite. Ha sentito l’odore del grisou e dell’imminente catastrofe?»

«Ha cambiato il terreno di gioco ed è stato grande anche lì. È stato grande anche quando si è messo a fare l’imprenditore della montagna. Ha avuto l’intelligenza di cambiare».

——> segue (part 3)

Intervista raccolta da Andrea Tosi


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