Cara Bianca

Cara Bianca,

inizio adesso, in qualche modo, e non senza fatica, a fare qualche piccolo passo verso la tua direzione. Approcciarti mi è sempre difficile. Vorrei essere in grado, guardandoti, di restituire almeno una parte dell’abbagliante luce che emani, e tu non sai quanto invidio la tua bianca purezza. Qualcuno parla di sindrome da pagina bianca, di paura bianca, io conosco bene quella da parete… ma in fin dei conti cambia poco. La tecnica per uscirne vivi è sempre la stessa, concentrarsi sui dettagli, sul “farsi” delle cose. Perdere volutamente di vista l’arrivo e il suo striscione per rimanere attenti e concentrati sull’energia immessa in ogni singolo passo. Il traguardo arriverà.

 È per questo motivo che prima di iniziare con te è stato saggio perdersi nei tuoi paraggi, allenarsi con tutto quello che avevi attorno. E c’era di tutto, veramente. In parete il segno del tempo che scorre era misurato dal materiale rimasto e dal modo in cui i corridoi di roccia arrampicabile sono stati puliti. Per non parlare dello stato in cui versava il sentierino che passa sotto il tuo muro variegato. Il bosco incolto si stava riprendendo la base delle vie. Girarti attorno, vivere la tua periferia, è servito ad avere le idee ben chiare quando arriverà il momento di prenderti per mano – tempo che prima o poi, ne sono certo, arriverà.

Se non te ne fossi accorta, perché te ne stai sempre rintanata sul tuo altare in leggera disparte dal settore principale, da qualche anno ti sto corteggiando.

Ha iniziato Nicola, rimettendo in ordine alcune stanze del tuo settore. Le chiamo stanze, non vie, perché adesso sono luoghi finalmente accoglienti. In primis è stato pulito il pavimento, il parterre. Poi, è stato scrostato il muro nei punti in cui era ammalorato, il tutto, in forza di una nuova sensibilità, più adatta ai tempi odierni, e con un copioso uso del leverino. Infine, solo alla fine, ho cambiato gli infissi arrugginiti, quelli artigianali e quelli rimasti senza piastrina. Oggi sono tutti in inox 12 mm. La trasformazione, da semplice settore che porta il tuo nome, in “Hotel Bianca” è ormai completata. Ed era questo che volevo per te. Senza fretta, passo passo, rileggendo ad uno ad uno i vecchi itinerari e aggiungendone alcuni nuovi.

Nuovi strumenti, per nuove difficoltà.

Oggi fino al sette A,

Che anche rima fa.

E tu, imperturbabile, hai saputo attendere.

Bianca e tutta da scrivere, come questa pagina che affronto con pudore. Così hai sentito il rumore di Maurizio e dei suoi sodali che richiodavano e ripulivano le piccole cenge delle vie facili attorno a “Saloon Kitty”.

Ridi di questi nomi, lo so… Ridi quando pensi alla frustrazione di chi ha nominato in questo modo i tiri di corda alla tua destra. Erano tempi difficili, in falesia c’erano solo “bruti”, magari sporchi ma certo non cattivi. Di sicuro non fluidi come quelli odierni. Avevano una loro precisa fissazione che li ha portati ad esternare su roccia questi sconforti: “Fobie da letto singolo”, “Telefono alla tigre”. Oggi, invece, si annotano alla base delle vie i commenti sui gradi; gradi che per dileggio qualcuno ha aggiunto a caso a fianco dei nomi. “Sei B”, scrivono; “Duro” scrive sotto un altro; “+” ci aggiunge un terzo. Sembra l’inizio di un nuovo muro sullo stile di quello che accoglie la “Giulietta” in via Cappello a Verona. Corteggiatori? Rivali?

Ma tu, solitaria, aspetti indifferente senza nessuna fretta.

Perché l’argento sai si beve ma l’oro si aspetta” canta Niccolò… ma io questa frase non credo di averla mai capita fino in fondo.

Tu, che problemi di pelle non ne hai e non sei arrossata come la parte centrale di “No rude boys”, o rugosa come la bubbonica roccia grigia segnata dal lichene di “Blu d’oriente”, non hai bisogno di cicatrizzare alcunché.

L’argento colloidale da bere non ti serve.

Con gli zaini pesanti di strumenti, bevendo invece Coca Cola, è infine arrivato Andrea, che con l’aiuto di Damiano ha riportato alla luce, tra le altre vie, anche un vecchio itinerario praticamente schiodato.

Vai a sapere, e tu di certo non dirai una parola in merito. C’erano solo i filetti dei vecchi fix a segnare l’idea avuta da qualcuno qualche tempo fa, su una roccia, questa sì, bisognosa in alcuni punti di cicatrizzante all’argento. La via che era stata liberata dalle placchette oggi è diventata “Pringles”. Perché il tubo rosso di patatine era il premio nascosto portato in falesia da Damiano. Regalo da gustare a fine lavoro a mo’ di “ganzèga”.

Ti dico anche che in questi ultimi giorni è stato recuperato “Veggente del passato”, un altro tiro di “Bepo” Zanini che da tempo era stato privato delle piastrine, ed anche il tuo rovescio – “Il brutto anatroccolo” – è stato rivisto e sistemato.

Cara Bianca, ora rimani solo tu.

E quando penso a te mi gusto in bocca una vecchia canzone di Lucio Dalla:

“Tu vola che si è alzato il vento

Vento di notte

Vento che stanca

Stella di mare

Come sei bella

Come sei bella e com’è bella

La tua pelle bianca, bianca, Bianca…”

Adesso, finalmente, mi sento pronta al grande passo, ho preso confidenza con le caratteristiche della tua porzione di parete, so quanto è solido il grigione slavato e lichenoso, quanto sono collegati tra loro i blocchetti giallognoli, che come la granella sul glassato del gelato Magnum, sembrano sempre pronti a cedere di schianto, e invece, la maggior parte delle volte riescono a sorprenderti. So anche quanto sono infidi alcuni scudi appoggiati che con una minima sollecitazione corrono giù a 9,8 m/s² a pavimentare il parterre.

Io che ti scrivo, sono una specie di “Nessuno”, ho più di duecento nomi e parlo con altrettante voci. Ma tu non sei Polifemo, no, non griderai il mio nome in cerca di vendetta.

Tu non sei tanto diversa da me. A tua volta incarni la somma di tutti i colori che rifletti e non trattieni per te. In qualche modo ci assomigliamo ed è per questo che “tengo per te ciò che di me è migliore”.

Ma queste non sono parole mie, sono di Cinzia Fasoli, poeta veronese, composte al tempo di una pagina “bianca” tutta da scrivere, come solo può essere il matrimonio di due suoi amici.

Io, e te, Bianca, eletta a simbolo di un settore della falesia “Cà Verde”, parete che, in qualche modo, tenendo per te ciò che di me è migliore – lo stato dell’arte, ho sposato.

“Tu come me,

Tu come me,

tu come me…”

In me canta Lucio.

Con affetto, tua

Arrampicata Verona A.P.S.


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