Nicola Sartori (Part 1)

Nicola Sartori

Nello sport, ed anche nell’arrampicata, il fattore genetico, che contraddistingue i fuoriclasse dalle persone mediamente normali, fa la sua bella differenza. Quando ci riferiamo a Nicola Sartori il termine “fuoriclasse” non è di certo sprecato. È sufficiente ammirare Nicola mentre arrampica per rendersi conto che lui, soggetto alla forza di gravità quanto noi, sembra aver trovato la ricetta magica per dominarla.

Nicola, statura media, biondo, carnagione chiara ma decisamente abbronzato come chi passa molto tempo all’aria aperta, spalle, braccia e mani che si vede hanno lavorato tanto, sempre vestito sportivo, scarpe tecniche, spesso con occhiali da sole aggressivi, ma sguardo mite e sorridente.

Incontro Nicola Sartori e Claudia Cuoghi nella sala-rifugio del King Rock: Nicola, con il suo consueto atteggiamento di non mettersi in mostra, cerca di sottrarsi all’incontro mentre Claudia mi viene incontro con un raccoglitore di documenti e fotografie di Nicola. 

Mano a mano che porgo, con tatto, in punta di piedi, le mie domande, Nicola prima di rispondere, cerca il consenso di Claudia. Claudia non è solo moglie ed apprezzata compagna di cordata di Nicola, ma è anche la convinta sostenitrice delle sue avventure.

Nicola Sartori nasce a Verona nel 1967 e nel 1980, a soli tredici anni, va con il fratello Emanuele, il Lele, a Stallavena a cimentarsi con “Il diedrino” e con “Lo sperone”.

In quei primi anni i fratelli Emanuele, Alberto, ma soprattutto Giampaolo Perini, trasmettono a Nicola i rudimenti dell’arrampicata.

All’epoca, non essendoci la struttura ed i corsi per ragazzi del King Rock e non essendo l’arrampicata ancora uno sport popolare, raramente ci si avvicinava all’arrampicata prima dei classici 18/20 anni. Nicola sfrutta il vantaggio di avere due fratelli più grandi per iniziarsi, ancora ragazzino, al magico mondo del verticale.

Questo fatto è così eccezionale che il ragazzino viene soprannominato Nicolino, soprannome con cui è ancora conosciuto nell’ambiente.

Nicola probabilmente è l’ultimo dei suoi coetanei che impara ad arrampicare senza le scarpette: nel 1980 adatta un paio di scarpe da ginnastica Diadora a cui incolla una camera d’aria dello spessore di tre millimetri e con queste va ad arrampicare. Nel 1981 acquisterà le sue prime scarpette “Brixia”. 

La prima via lunga che effettua è “Rita” alle Placche Zebrate nella valle del Sarca assieme ai fratelli Emanuele ed Alberto. Segue poi la salita alla Guglia Gei sulle Piccole Dolomiti, un altro grande classico per chi, all’epoca, muoveva i primi passi.

L’avventura della salita del “Gran Solco” al Soglio Rosso sul Pasubio assieme al gruppo della Sigagnola (Emanuele Sartori, Giampaolo Perini, Marco Valdinoci, Marco Vignola, Checco Bresciani, Giovanni Barion), dove incappano in una bufera di vento e neve, lascia un ricordo marcato in Nicolino.

Nel 1982 avviene il salto di qualità! Nel torrido mese di agosto con Emanuele Sartori, Giampaolo Perini e Marco Valdinoci approcciano la “Sommadossi” al Colodri in Valle del Sarca: un itinerario di 300 metri assai impegnativo con VI e AO oppure VII-.  È una lunga salita che impegnerà i nostri amici per 9 o 10 ore. Alla prima cengia, Marco Valdinoci la imbocca per scendere. Alla seconda cengia, Lele, anche lui, getta la spugna. Giampaolo Perini dice a Nicolino, un ragazzino quindicenne, “o sali tu da capocordata, o scendiamo anche noi”. Nicolino, indossando il casco da motociclista dello zio Nino, si carica degli stopper (i friend non c’erano ancora o comunque non erano a portata delle loro finanze) e parte lungo la serie di diedri che gli sembrano infiniti e con i chiodi lontani.

Le Dolomiti vengono toccate durante una vacanza sulle Pale di San Martino, ed è lì che durante una gita di sci alpinismo nel 1983 conosce Lino Ottaviani, un altro talento naturale per l’arrampicata.

Assieme formeranno una cordata eccezionale: a Stallavena si abituano a scalare naturalmente slegati, salendo e scendendo velocemente per tutte le vie dell’epoca che ormai conoscono a memoria.

Utilizzando un piantaspit a mano, nel 1983, Nicolino apre a Stallavena le sue prime due vie: “Messaggeri del teschio” (7a+) e “Il signore degli Inganni” (6b). Sale completamente in libera queste due, “Il gran strapiombo” (6c+) e via di seguito anche tutte le altre vie difficili di artificiale dell’epoca. Oggi è considerata una cosa normale, ma all’epoca era una cosa eccezionale: generalmente tali vie venivano affrontate rigorosamente con 2 staffe e fiffi come allenamento per le vie di artificiale in Dolomiti ed il ritorno non avveniva in moulinette ma scendendo tranquillamente per il sentiero.

Sempre nel 1983 conosce Tano Cavattoni, Eugenio Cipriani e Gianni Rodighiero che hanno appena chiodato, in Val d’Adige, la Placca d’Argento (e non solo). Stabilisce una forte intesa con Tano Cavattoni, un altro autentico talento naturale che è passato come una veloce meteora nel panorama dell’alpinismo. Tano Cavattoni è molto avanti sia a livello mentale che fisico. Assieme a Tano Cavattoni, i due, si inventano e perfezionano gli allenamenti a secco: lunghe sedute a casa di Tano sulle colline prima di andare ad arrampicare in falesia.

Nicola apprende da Tano Cavattoni i segreti per migliorare anche in falesia.

I risultati non si fanno attendere: nel 1983 salgono in libera la via “Only diei” (7b) e “Sigagnola club” (7a+) alla Placca d’Argento, anche quest’ultima aperta da Nicolino con piantaspit a mano. In Valle del Sarca salgono il “Diedro Maestri” (6c) al Piccolo Dain in completa arrampicata libera. Ma in quella giornata la cosa più impegnativa non è stata l’arrampicata, bensì il viaggio in due con zaini, corde e materiale a cavallo della mitica moto Guzzi rossa di Tano  “Ad ogni curva in Val d’Adige ero convinto di finire fuori strada!” racconta Nicola divertito.

Nicola pur essendo ancora giovanissimo, (16-17 anni) grazie al talento naturale di cui è dotato, porta in montagna quanto ha appreso in falesia; anzi è un onnivoro e divide equamente il suo tempo fra falesia e montagna.

Nel 1984 Lino Ottaviani e Nicola Sartori si scatenano in una serie di ripetizioni di vie classiche estreme in Dolomiti. 

Tra le tante ripetizioni, Nicola ricorda la via Cassin alla Torre Trieste percorsa senza particolari problemi assieme a Lino, in una ormai corta giornata di settembre. Arrivano in cima al tramonto e decidono per un bivacco non previsto, il primo bivacco di Nicola, stendendo le corde come giaciglio. Ovviamente non hanno né cibo né acqua con l’eccezione di una barretta di cioccolata, che decidono di tenere per colazione, prima di affrontare le impegnative doppie del rientro.

Ora dovete sapere che se Nicola è flemmatico e silenzioso, altrettanto lo era Lino. Me li vedo proprio questi due amici al sole del primo mattino, aprire con calma la cioccolata, posarla su un sasso piatto per dividerla meticolosamente in due parti uguali, contemplando, assolutamente senza fretta, il fantastico panorama del Civetta. Solo che non fanno i conti con un affamato gracchio che arriva velocissimo e ruba la colazione ai nostri amici. Segue una discesa con stomaco assolutamente vuoto!

A questa seguono innumerevoli altre vie classiche: in Marmolada, la Don Chisciotte dopo aver bivaccato sui prati e percorso slegati metà via fino alla prima cengia, arrivando in cima alla Marmolada di Rocca assai presto per poter scendere gratis in funivia. Ed ancora la Vinatzer e la Gogna, sempre in Marmolada, la Strobel in Bosconero, la Canna d’Organo al Piccolo Dain, la Detassis al Croz dell’Altissimo.

Nicola ha terminato la scuola e in quegli anni lavora in un’azienda di grafica che gli lascia poco tempo, ma tutto dedicato all’arrampicata. L’accenno alla grafica è importante poiché, nella seconda serata del nostro incontro, Claudia arriva con un prezioso diario arancione che descrive tutte le salite di Nicola nei primi anni. Molti di noi tenevano un diario, ma quello di Nicola è veramente ben curato e di grande valore storico.

Emergono aneddoti, descrizioni minuziose, riportate con calligrafia minuta e ordinata, ci sono schizzi rigorosi e dettagliati… insomma un’opera da vero grafico e di cui riportiamo in questo articolo alcune pagine.

Mi hanno colpito gli schizzi relativi a Stallavena dove si sofferma a tratteggiare i passaggi in libera, si tratta della prima libera assoluta, della zona “Gran strapiombo”. Interessante sono anche gli schizzi relativi alla Placca d’Argento, chiamata ancora Rivoli 2, che presenta gradazioni UIAA e gradazioni in scala americana.

Sono i primi tentativi di “libera veramente libera” in cui ci si confronta con quello che sta succedendo o è successo da pochi anni nel mondo.

Nella metà degli anni 80 mi capitava di arrampicare con Nicola e ricordo che ci accordammo per una via sul Colodri in Valle del Sarca. Le avevamo percorse tutte, o quasi, quelle belle classiche con fessure e diedri di un certo impegno. Al termine della via, che ovviamente non ricordo (ma poteva essere la “White Crack”, la “Renata Rossi”, la “Katia”, la “Barbara” o la “Sommadossi”), durante il sentiero di discesa, in cui cominciavo a rilassarmi, a riprendere colore, ad apprezzare la vita della Valle, dopo lo sforzo violento della parete, Nicolino, solitamente silenzioso, se ne esce con una frase lapidaria che mi ha letteralmente gelato: “Bene, adesso che ci siamo scaldati, possiamo andare finalmente ad arrampicare!”

Fu così che mi ritrovai, in quattro e quattro otto, nella impegnativa falesia di Nuovi Orizzonti, osservando un tranquillo Nicolino su placche lisce e sinuose, cercando di copiare, invano, i suoi movimenti con la mia consueta agilità di un elefante in una cristalleria.

Durante una licenza del periodo militare, nel 1986, conosce il Verdon e si cimenta nella via “Fenrir” (8a) con il fratello Emanuele.

In quel periodo, dal 1987 al 1989, si dedica alla nascente arrampicata libera moderna e aiutato da Emanuele, che gli fa da allenatore e compagno di cordata. Per Nicola, essere circondato da una persona di cui ha massima stima, allora Emanuele, ora Claudia Cuoghi, significa essere spronati, motivati da qualcuno e potersi concentrare nelle difficoltà estreme  lasciando tutto il resto fuori.

Significativo è quanto mi ha raccontato Sergio Coltri. E’ in Verdon, sulla via “Fenrir”, lungo la prima lunghezza spettacolare di 7a+, lo segue la cordata di Nicola ed Emanuele Sartori. Qui Nicolino si “impappina” nel tiro di 7a+ e viene sgridato da Lele che sbraita “Eh no Nicola! Non è possibile! Con tutto il lavoro che abbiamo fatto…” sembra proprio di vedere Nicolino chiedere scusa al fratellone per aver messo male il piede e promettere che non lo farà più!

Con Emanuele organizzano diversi viaggi in Provenza e precisamente in quello che allora è considerato il triangolo magico dell’arrampicata: Cimai, Buoux e Mouries. E proprio a Buoux arriva il primo 8a su una via considerata di riferimento “Reve de Papillon”. A metà degli anni 80 emigrare nella Francia del sud è un passo quasi obbligato per trovare e provare diverse vie di difficoltà estreme, superiori al 7b, e per apprendere mentalità e consuetudini (le methode) da chi era sicuramente più avanti nella ricerca della difficoltà.

E’ importante notare che quando rimane a Verona, Nicola fa fatica a trovare qualcosa che sia più impegnativo della via “Non seguitemi” alla Spiaggia delle Lucertole: i vari 8a, 8b ed 8c ancora dovevano essere chiodati!

—–> Segue part 2


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