Survoliamo

Survoliamo

La vitalità senza tempo nello sguardo di Sergio Coltri. 
La vitalità senza tempo nello sguardo di Sergio Coltri. 

La storia la scrive chi comunica.

Questo è il mantra che usualmente ripete Massimo Bursi – storico veronese “in pectore” – quando viene interrogato sull’identità degli autori della Storia (con lettera maiuscola) che viene tramandata ai posteri.

Eppure, se è vero che le parole volano nell’aria e la carta scritta rimane a terra per testimoniare, è vero anche che tra tutto quello che finisce nelle guide e quello che esiste nella realtà c’è sempre uno scollamento, un piccolo spazio di verità che rende continuamente possibile la riscrittura della storia comunemente accettata. La storia in maiuscolo è costantemente minata dalla storia in minuscolo e, quando meno te lo aspetti, dalle profondità solitamente abitate dalle cose dimenticate, ogni tanto, torna a far capolino qualcosa che obbliga, se non a riscrivere tutto, a riconsiderare quanto si è dato per scontato.

Ed è cosi che riaffiora una salita del lontano 1987. 

Nei diari di Sergio Coltri la data del 3 aprile 1987 è tutta annotata e porta un titolo: Survoliamo.

Nell’odierna meta turistica della Roda del Canal, Sergio, aprì una via di due tiri che non è mai stata messa su nessuna guida. Una via che tutt’ora conta poche ripetizioni ma che rimane ancora viva nei ricordi del primo salitore Gerardo Gerard. Servirebbe la DeLorean di “Ritorno al futuro” e il “Flusso canalizzatore” per fare un balzo indietro di quasi 50 anni per vedere cos’era l’arrampicata sportiva a quel tempo e i luoghi in cui si esercitava. Le logiche erano molto diverse da quelle attuali. L’odierna affollata “Roda del canal” era terreno d’avventura. L’occhio con cui si scrutavano le pareti coglieva in prima battuta l’aspetto estetico, la pulizia della parete. Al tempo, il metro di misura estetico erano le placche del Verdon. Con quel metro campione si misuravano le possibilità di apertura di nuovi itinerari sulle nostre pareti. Ed è così che la curiosità di Sergio si è spostata su quei metri bianchissimi che caratterizzano la seconda lunghezza di “Survoliamo”. Il nome porta in sé il sale dell’arrampicata, la necessità di accettare la possibilità di volare nel mentre si tenta di salire. Possibilità concreta vista lo stile con cui era stata chiodata in origine la via. 

Sergio alle prese e Gerardo alle corde
Sergio alle prese e Gerardo alle corde

Oggi, apritore e primo ripetitore fanno spesso cordata insieme, anche sulla plastica del king, quando il meteo la prescrive, ed è un piacere leggere nei loro occhi quella cordialità che fin dai primi incontri li ha legati. Sergio ricorda di aver incontrato per la prima volta Gerardo in quel di Ceraino, di aver visto un uomo molto elegante, vestito di una giacca in pelle scamosciata, con le “college” ai piedi, che spiegava ad una ragazza cosa era possibile fare con delle scarpette ai piedi e una corda legata in vita. A Sergio non era sembrato un “alpinista” ma un “cittadino” che si stava giocando le sue carte per stupire. A fugare ogni dubbio furono le prime parole scambiate fra di loro… 

Lo sguardo di Gerardo Gerard mentre ricorda gli appigli di  "Survoliamo".
Lo sguardo di Gerardo Gerard mentre ricorda gli appigli di “Survoliamo”.

Ma sorvoliamo, anche noi, sui buffi dettagli di questa cordata di “cardiopatici” (magari un giorno ne parleremo). Torniamo a “Survoliamo”, ed il perché è presto detto: Sergio ha deciso di aggiornare e rivisitare la chiodatura della via, riportando luce su quelle protezioni ormai corrose dalla ruggine. 

La via parte poco a sinistra dell’attuale “Linea grigia” e sale su diritta sotto il tetto che viene superato nel suo lato sinistro. Una volta sopra il tettino si arriva in sosta. Il secondo tiro sale tutta la spettacolare placca bianca salendo costantemente verso destra.

Survoliamo
Survoliamo

I passi difficili si raccolgono attorno alla sosta, nei metri finali del primo tiro e nella parte iniziale del secondo. Gerardo ricorda quella prima salita attraverso le sensazioni. Sono i colori che marchiano quel ricordo, parla dei tratti difficili, di una roccia bianca in modo inusuale frutto di una lavorazione molto intensa da parte del ghiaccio.

 

Ed è bello notare l’attenzione con cui centellina le parole, la certezza che ogni parola di troppo andrà a rovinare quanto è stato vissuto in parete. Non è la GoPro sul casco o il cellulare in mano per fotografare a rendere eterna un’esperienza. Il segreto della durata nel tempo di ciò che si è fatto non sta nella documentazione sui social ma nella registrazione attenta e silenziosa di ogni emozione, nel fare tutt’uno con quello che si sta vivendo. Gerardo lo sa bene e teme anche la comunicazione. È convinto che la parola abbia il potere di sgretolare ogni esperienza. Ed è per questo che parla pesando ogni suono che fa uscire di bocca. Parlare di questo vissuto è quasi un’estorsione compiuta da un certo senso di dovere verso la verità di ciò che è stato. Quella verità che si rivela nelle crepe della Storia ufficiale.

Gerardo con le parole e Sergio con la pratica fanno cordata anche in questo “sentire”. Richiodare per un senso del dovere, quasi inconsciamente costretti da un desiderio di verità. Per riaprire gli occhi in modo diverso su una parete che oggi è spesso letta nelle sue linee più facili. Richiodare per affermare un senso estetico dimenticato, si badi bene, non certo migliore dell’attuale, semplicemente “differente” e da affiancare a quello oggi in voga. Pluralità come valore aggiunto.

Survoliamo è oggi pronta per nuove salite. Alla stregua di una via da liberare, è anche da ri-gradare alla luce dei nuovi “standard”. La prima lunghezza era stata gradata 5c/6a, mentre la seconda si spingeva al 6b. Gradi sicuramente stretti da rivedere e correggere, da armonizzare con il resto della parete. La sosta “appesa” tra L1 e L2 è oggi confortata da un poggiapiedi in legno. Per la calata dal secondo tiro, essendo fuori linea, Sergio ha posizionato una sosta sulla verticale, per agevolare il ritorno a terra. 

Per una volta, 1987 & 2022 cercano un accordo per il bene di entrambi.

C’è un prima e un dopo… e ci sarà ancora, magari nel 2060, ma questa è un’altra storia che sarà scritta da altri. 

Ai posteri e futuri scrivani lasciamo qualche traccia oggettiva, qualche foto per ricostruire il percorso fatto… del resto sarebbe impossibile trasmettere l’immutata energia che si è trasmessa dal 1987 a oggi e che per l’occasione si è radunata attorno a un tavolino del bar del King Rock. 

Esiste una bellezza che non trova parole e non trova azione ma si respira nell’aria.

Con un perché che devo cercare dentro, mi risuona una frase del “Cirano” di Guccini: “Le verità cercate per terra da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali”. 

Saluto Sergio e Gerardo con il tardivo e terribile sospetto che in tanti anni di scalate, loro, siano riusciti a trovare il modo per volare sulle pareti.

Andrea Tosi


N.B. Articolo scritto per la rubrica “c’era una volta” del King Rock Journal. 

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